di Giovanni Ugas
La scoperta archeologica di Sirilò: un’interpretazione - L’amica e collega Maria Ausilia Fadda, autrice di tante e importanti indagini archeologiche, ha effettuato un’interessante scoperta nel sito di Sirilò in agro di Orgosolo a oltre 1000 metri di altezza. Si tratta di un abitato persistito dall’età del Bronzo sino ai tempi del dominio romano nell’isola. A giudizio dell’articolista dell’Unione Sarda Piera Serusi, che in data 18 Gennaio 2012 richiama le considerazioni della Fadda, l’interesse del ritrovamento consisterebbe nel fatto che il mito della Barbagia mai domata è infondato e lo proverebbero i manufatti archeologici. Alle stesse conclusioni indurrebbero le suppellettili emerse dagli scavi nell’antico villaggio di Sant’Efis di Orune. Nella sostanza, con parole forti e decise, nell’articolo si afferma “qui finisce la mistica dell’identità. Qui si sgretola il campionario folk della Barbagia isolata e mai conquistata… un mito infondato che è stato ampiamente strumentalizzato e enfatizzato”.Occorre attendere una pubblicazione esaustiva degli scavi per avere un quadro più dettagliato e un’analisi più precisa, soprattutto per quanto attiene le diverse sequenze e i contesti stratigrafici, tuttavia, a giudicare dalle notizie sugli elementi della cultura materiale venuti alla luce in tali siti è possibile trarre già alcune considerazioni che, dico subito e in modo non meno deciso, non sono affatto in linea con quanto sostenuto nell’articolo. Innanzitutto, va premesso che la resistenza dei Sardi ai Cartaginesi a partire dal 510 a.C. e ai Romani dopo il 238 a.C. non nasce dal parto di qualche inguaribile indipendentista moderno ma è ben registrata nella letteratura antica e ad essa, oltre che alla specificità della società “barbaricina”, si rifanno Giovanni Lilliu e tanti storici e antropologi sardi. Penso sia utile richiamare alcune delle numerose testimonianze che attestano come l’isola ancora alla fine del II secolo dopo Cristo non fosse affatto del tutto soggiogata, tralasciando le prime grandi battaglie per l’indipendenza combattute dai Sardi e i trionfi senza fine conseguiti dai consoli romani contro i Sardi per tutto il II sec. a. C., che determinarono, stando alle fonti, non meno di centomila caduti e prigionieri. Qualche testimonianza della letteratura antica sulla resistenza degli Iliesi -Diodoro Siculo (IV, 30) intorno al 60 a.C. Scrive: “In relazione a questa colonia (degli Iolei), avvenne anche un fatto straordinario e singolare: Attraverso un oracolo il Dio disse loro che tutti quelli che avevano preso parte a questa colonia e i loro discendenti, sarebbero rimasti continuamente liberi per l’eternità. La realizzazione di questo fatto in conformità all’oracolo, perdura fino ai nostri giorni”. Al tempo di Diodoro, dunque, una parte delle terre dell’isola era ancora libera. Infatti, Diodoro aggiunge: “Per effetto del lungo tempo ivi trascorso, poiché i barbari che avevano preso parte alla colonia erano superiori come numero, le popolazioni (gli Iolei) avevano finito per imbarbarirsi; esse, trasferitesi nella zona montuosa, si stabilirono nei terreni difficili ed erano solite nutrirsi di latte e carne e allevare molte greggi di bestiame e non avevano bisogno di grano. Si costruirono delle abitazioni sotterranee, svolgendo il loro modo di vita negli anfratti, evitarono il pericolo delle guerre. Perciò prima i Cartaginesi e poi i romani li combatterono spesso, ma fallirono il loro obiettivo”. Il concetto è riaffermato dallo stesso Diodoro Siculo V,15 : “I Tespiadi (i capi tribali Iolei), signori dell’isola per molte generazioni furono alla fine cacciati, si rifugiarono in Italia e si stabilirono (in particolare) nella zona di Cuma; la gente rimasta si imbarbarì ma, scelti come capi i migliori (àristoi), difese la sua libertà fino ai nostri giorni.” Occorre chiarire che Diodoro sosteneva erroneamente l’origine greca degli Iolei, mentre i Romani li chiamavano Iliensesfacendoli discendere da Ilio. In effetti essi vanno riconosciuti in una popolazione indigena, che possiamo definire convenzionalmente Iliesi, stanziata fin dal Neolitico nei territori a Sud del Tirso, a meridione dei Balari e dei Corsi, le altre due grandi popolazioni sarde che si opposero ai Cartaginesi e ai Romani. Tuttavia, lo storico greco della Sicilia che visse nel I sec. a.C. era certo ben informato sui fatti recenti dell’Isolane e, di certo, le lotte intestine per il potere sostenute nello stesso periodo, da circa l’80 al 40 a.C., tra i democratici e gli aristocratici romani dovettero rendere ancor più difficile il controllo delle zone montane e più impervie dell’isola. Il clima delle relazioni tra Roma e i Sardi, era tutt’altro che temperato, come emerge ancora dal giudizio espresso da Cicerone sui Sardi, compresi i filocartaginesi che abitavano le coste. Infatti, nel processo contro Scauro intentato dai Sardi intorno al 54 a. C., Cicerone sostiene sia pure accentuando strumentalmente la sua opinione sui Sardi: “Bisogna convincersi che la realtà dei fatti dimostra che la maggior parte di costoro (i Sardi) è priva di ogni rapporto di amicizia, di alleanza con il nostro popolo. Infatti quale altra provincia, fatta eccezione della Sardegna, non ha almeno una città alleata del popolo romano e libera (cioè con la cittadinanza romana)?”. Occorre riconoscere, invero, che Strabone, attivo tra la fine del I a.C. e gli inizi del I d.C. afferma che “… ( i figli di Iolao) abitarono insieme a Barbari che allora occupavano l’isola… ma poi il dominio passò ai Fenici provenienti da Cartagine , insieme ai quali combatterono contro i Romani. Poi, però, essendo stati costoro sconfitti, tutto passò sotto i Romani”. Va rilevato, al riguardo, che la notizia di Strabone è generica e non si sofferma su dettagli e infatti menziona allo stesso modo il dominio dei Cartaginesi che, ben si sa, non era di certo esteso alle zone interne. Infatti, lo stesso Strabone, in un altro passo, afferma che dalla Sardegna si facevano azioni di pirateria nella zona di Pisa in Toscana, asserendo indirettamente che qualche settore dell’isola, era tutt’altro che pacificato e sotto il controllo politico di Roma.
Che la situazione nell’isola non fosse affatto pacifica ancora nel I secolo d. C., lo afferma Cassio Dione il quale riferendosi agli eventi che si verificarono nel 6 d. C, sotto Augusto, afferma: “Infatti i briganti compivano tanto frequentemente delle scorrerie che per tre anni la Sardegna anziché avere per suo governo un senatore venne affidata a strateghi presi dall’ordine dei cavalieri (scelti dall’imperatore)”. Strabone (V,2,7) aggiunge che “gli strateghi che vi vengono inviati… talvolta rinunciano poiché non è certo vantaggioso mantenere di continuo l’esercito in luoghi insalubri…”. Ovviamente, era mascherata sistematicamente con l’insalubrità del clima l’insicurezza della Sardegna generata dallo stato di ribellione dei Sardi. Un situazione tutt’altro che pacifica è prospettata ancora, sia pure confusamente, oramai nel II secolo d. C. da Pausania ( X, 17,4): “...dunque ai miei giorni in Sardegna vi sono dei luoghi chiamati Iolaei”…. “I Troiani (cioè gli Iliei distinti erroneamente dagli Iolaei-Iliesi) si rifugiarono nei luoghi alti dell’Isola e, avendo occupato le montagne dal difficile accesso ben protette da opere difensive e da precipizi, ancora ai miei tempi conservano il nome di Iliei, per quanto somiglino ai Libii nell’aspetto, nell’armatura ed in ogni loro costume di vita”. Come si può osservare questi dati indicano, e si tratta di testimonianze dirette, che ancora nel II secolo dopo Cristo una parte dell’Isola delle montagne (Barbagie e Ogliastra) abitate dagli Iliesi non era affatto pacificata! Non sappiamo se l’editto di Caracalla del 212 d. C., col quale a tutti i sudditi dell’impero e dunque anche ai Sardi fu riconosciuto il diritto di Cittadinanza romana, riuscì a convincere i Barbaricini a desistere dalla loro lotta. Indubbiamente, va detto che Austis fu una fondazione romana, ma questo non basta per sostenere che le regioni montane del Gennargentu furono soggiogate dai Romani. Infatti, è evidente che, con lo stanziamento di propri coloni in zone nevralgiche, i Romani cercarono di frenare le incursioni e le ribellioni degli Iliesi, ma invano. La stessa cosa avvenne più a Sud con la fondazione della colonia dei Patulcenses Campani nel Gerrei per tenere a freno i Gallilenses sarcidanesi, ai limiti della Barbagia di Seulo. Inoltre, il fatto che Forum Traiani (poiCrysopolis, Fordongianus), il presidio militare dei Romani e poi dei Bizantini, fosse ubicato relativamente lontano dalle montagne del Gennargentu indica indirettamente l’esigenza di tenere ai margini il cuore dei Montes Insani, un territorio che occorreva controllare con prudenza e a una certa distanza ancora in età tardo imperiale e bizantina. In ogni caso, come affermano autorevolmente i linguisti, la lingua latina in Barbagia giunse tardi e attraverso un insegnamento dotto, “scolastico”, e non con una graduale propagazione dalle zone vicine. Non di meno arrivò tardi, solo dopo il VI secolo, il Cristianesimo, a seguito di un’intesa con i bizantini.
Le ragioni dell’archeologia non contrastano con i dati della letteratura - Queste sono le notizie, tutt’altro che mitiche, della letteratura antica. I dati archeologici di Sirilò e di Sant’Efis contrastano con esse? A giudicare dai dati finora noti non mi pare. I ritrovamenti di ceramica punica e greca attica evidenziano un fatto incontestabile: le regioni barbaricine non erano refrattarie alle sollecitazioni culturali provenienti dall’esterno, in primo luogo attraverso le altre contrade dell’isola. Tali manufatti, però, non implicano affatto che il Supramonte fosse stato occupato dai Cartaginesi così come la ceramica e gli altri elementi di cultura greca trovati nelle tombe orientalizzanti dell’Etruria non fanno della Toscana una terra militarmente occupata dai Greci nel VII secolo a.C. Lo stesso discorso vale per gli elementi culturali d’età romana.
Non ci si deve aspettare che in età romana l’interno dell’isola fosse rimasto fermo culturalmente all’età del Bronzo e del I Ferro! Resistenza non è sinonimo di isolamento anche se gli Iliesi continuavano a parlare una lingua “barbara per i Romani” e peraltro, praticando sistematicamente le razzie si impossessavano delle cose degli altri in terre che un tempo essi possedevano. È più che naturale che al tempo delle conquiste cartaginesi e romane nell’isola il quadro culturale fosse mutato e adattato ai nuovi tempi. Invero, non mi pare che esista al momento alcuna prova archeologica che nel I e II secolo d. C. la resistenza barbaricina degli Iliesi fosse stata domata e che politicamente il Supramonte fosse governato dai Romani. Non mi pare che siano stati trovati elementi probanti come ad esempio qualche iscrizione latina relativa alla fondazione di un municipium o di un tempio dedicato al culto imperiale. Né si possiede alcuna prova, per questo periodo, dell’introduzione della lingua latina nel cuore della Barbagia e certo nessun insediamento delle Barbagie porta un nome di origine romana. Sirilò (che ricorda lo zoonimo Sirilugum di Plinio il Vecchio) non è certo un vocabolo latino e Sant’Efis è un nome cristiano. In conclusione non emergono ragioni plausibili per sostenere che gli storici greci e romani non si fossero accorti che le resistenza sarda era una pura invenzione dei consoli e degli strateghi di Roma!
Fino a che mancheranno inoppugnabili sostegni probatori è più che lecito continuare ad affermare che fu un fatto storico, e non un mito, la resistenza dei Sardi nelle grotte (Tiscali ne è un esempio!) e nei luoghi fortificati (ancora da scoprire) ubicati sulle montagne nel cuore delle Barbagie.
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