Per un volume sulla Tavola di Esterzili
e sulle controversie tribali nella Sardegna antica
di Fernando Pilia
Nel marzo del 1866 il contadino esterzilese Luigi Puddu,
soprannominato "Pibìnca", mentre arava un campicello in località di S'e Munzu Franciscu, nella zona di Corti 'e Luccetta, già appartenente agli eredi di Pietrino Serra ora in possesso di Ermenegildo Loi), s'accorse a un tratto che il vomere di ferro del suo rustico e tradizionale aratro di legno aveva urtato contro qualcosa di duro e si era bloccato. Preoccupato per l'imprevisto ostacolo e incuriosito per l'incidente, allontanò dal solco i buoi aggiogati, si mise a scavare con la zappa e riportò allo scoperto una lastra di bronzo scolpita, in ottime condizioni, lunga 60 centimetri, alta 45 cm., spessa 5 mm. e del peso di circa 20 chilogrammi, costituita da metallo ben compatto e di ottima qualità, sagomata in tutti i lati.
L'ignaro scopritore di così importante documento storico, essendo analfabeta, come gran parte degli abitanti di Esterzili di quell'epoca, portò la tavola di bronzo in paese e la volle mostrare al parroco canonico Giovanni Cardia, presso il quale aveva buoni rapporti ed anche un debito di pochi scudi che il sacerdote gli aveva prestato. Tiu Pibinca accettò i due scudi d'argento, corrispondenti alla discreta somma di dieci lire, un piccolo capitale in quell'epoca di miseria e di recessione, e consegnò al parroco la tavola di bronzo. Il canonico Cardia, che aveva una certa cultura ed era in grado di valutare il pregio della scoperta, si mise in contatto con l'illustre archeologo canonico e senatore Giovanni Spano che si fece dare la lastra epigrafica, la esaminò attentamente, la studiò con interesse e la pubblicò, cedendola infine al Museo Nazionale di Sassari, dove la cosiddetta Tavola di Esterzili si trova ancora esposta bene in vista. L'iscrizione, incisa a caratteri capitali in venti sette righe, esprime il seguente contenuto:
Addì 18 marzo nell'anno del consolato di Otone Cesare Augusto. Estratto conforme, trascritto e collazionato da quanto contenuto nella tavola 5, capi 8, 9 e lO del documento originale del proconsole L. Elvio Agrippa e pubblicato da Gn. Egnazio Fusco, cancelliere del questore. Il giorno 13 di marzo il pro console Lucio Elvio Agrippa, sentite le parti in causa, ha reso pubblica questa sentenza: «Poiché il bene comune richiede che si debba tener conto di ciò che afferma la sentenza nella
causa dei Patulcensi e poiché Marco Giovenzio Rissa, uomo di grande autorità, procuratore dell'imperatore, molte volte ha ordinato che i confini del territorio dei Patulcensi si devono mantenere come erano stati fissati nella tavola di bronzo di Marco Metello, ritenendo inoltre che era disposto a condannare i Galillensi, i quali in molte circostanze avevano procurato il disordine con risse e atti arroganti e non avevano ubbidito al suo decreto, ma che tuttavia, in ossequio alla benignità dell'imperatore Ottimo Massimo, era ancora disposto ad avvertirli con un'altra ordinanza in maniera che stessero calmi rispettando questa giusta sentenza e prima dell'arrivo del mese di ottobre sgombrassero i territori dei Patulcensi rispettandone il libero possesso; che se intendessero con ostinata caparbietà continuare la provocazione opponendosi agli ordini, egli stesso era pronto a punire tutti coloro che intendessero provocare disordini; dopo che i Galillensi per la medesima causa si erano rivolti a Cecilio Semplice, uomo illustre, affermando che dai documenti dell'archivio imperiale erano disposti ad esibire un'altra tavola con gli atti di questa causa; dopo che egli avéva fatto sapere che la buona volontà lo spingeva ancora a dare ulteriore proroga per la presentazione delle prove e per questo aveva loro concesso altri tre mesi fino ai primi di dicembre, trascorsi i quali, se la carta non gli fosse pervenuta, egli si sarebbe attenuto a quanto contenuto nella mappa presente in provincia, anch'io, adito dai Galillensi che affermavano che la copia non era ancora pervenuta, ho concesso loro tempo fino al primo di febbraio, rendendomi conto che a questi proprietari avrebbe fatto comodo un'altra proroga, ordino che i Galillensi, entro il primo giorno d'aprile, si ritirino dai territori dei Patulcensi Campani che hanno occupato di prepotenza senza averne alcun diritto. Qualora essi non siano disposti ad ubbidire a questo decreto, sappiano che saranno condannati alla pena che molte volte è stata loro prospettata per il ritardo eccessivo.
Segue l'autenticazione di Gneo Pompeo Feroce, L. Aurelio Gallo, M. Blosso Nepote, C. Cordo Felice, L. Vigellio Crispino, C. Valerio Fausto, M. Lutazio Sabino, L. Cocceio Geniale, L. Plozio Vero, D. Veturio Felice e L. Valerio Peplo. (...)
(...) Sottolineo che questo importantissimo documento storico, assai rilevante sotto il profilo amministrativo, giuridico, linguistico, geografico ed epigrafico, è una delle rare testimonianze scritte a noi pervenute che ci illustra con abbondanza di dati e di particolari la situazione delle popolazioni Sarde in epoca imperiale romana, comfermando, tra l'altro, per la prima volta, la presenza di Otone sul trono di Roma. Infatti la data del 18 marzo (dell'anno 69 dopo Cristo) si riferisce ad un mese e due giorni anteriori alla morte per suicidio dell'imperatore tiranno dopo la sconfitta di Bedriaco presso Cremona. Inoltre la tavola di bronzo trovata nell'agro di Esterzili illumina le vicende di un periodo di lotte feroci e sanguinose fra le tribù dell'interno dell'isola, rivela in pratica uno stato permanente di guerriglia, di sconfinamenti e di razzie, spiega la funzione dei governatori romani e fornisce altresì interessanti particolari burocratici e linguistici.
Mi pare che ci indirizzi nell'individuazione della sede dei Galillenses che, a mio parere, era proprio sull'altopiano di Orborèdu, sulla piana ai piedi del massiccio del monte di Santa Vittoria, dove ancora oggi si possono osservare le rovine dell'abitato romano, chiamato dai locali Cea de Idda (ossia il pianoro della villa o oppidum romano), quella valle pianeggiante dell'abitato ricchissima di avanzi archeologici che ne attestano l'importanza e fanno pensare a questa località come sede delle turbolente tribù dei Galillensi, sempre in agitazione contro le genti della pianura e delle colline delle valli del Flumineddu e del Flumendosa e delle
fertili terre della ricca area dei Campidani.
L'atteggiamento dei pastori montanari dell'area povera di risorse contro le popolazioni delle fertili e ricche terre del sud-est dell'isola ha origini remotissime e conserva ancora oggi la tradizione di fastidio e di sconfinamento legata alla pratica abigeataria. D'altronde ancora durante i secoli XIV e XVI, stando a quanto hanno registrato i parroci di questa zona nei libri parrocchiali che hanno raccolto le cronache delle comunità dei nostri villaggi, gli abitanti del territorio vicino al luogo dove è stata rinvenuta la famosa tavola di bronzo avevano conservato lo stesso carattere irrequieto di violenti invasori delle aree confinanti. Infatti nell'anno 1358 il villaggio di Lessèi (ora scomparso nell'agro di Ulàssai) pagava i diritti feudali ai baroni della Curatoria o Incontrada della Barbagia di Seùlo, i quali avevano guidato un'invasione di pastori esterzilesi per occupare il territorio al di là del rio Flumineddu. Inoltre, come si legge nel "libro de todas las gracias", risalente agli ultimi scorci del dominio catalano-aragonese, nel maggio del 1580 i capi delle comunità dei villaggi dell'Ogliastra, riuniti in parlamento a Tortolì, chiesero l'intervento del conte di Quirra per riavere i salti di Paùli usurpati alla comunità di Ulàssai dai pastori-predoni di Esterzili in azioni violente. E questi episodi si ripeterono sino alla fine del secolo scorso provocando scontri, liti furiose, contese violente, spargimento di sangue e molte vittime Mi pare che non si debba cercare d'individuare altrove la sede dei Galillensi, ma, alla luce di queste considerazioni, ci si debba soffermare proprio in quest'area barbaricina, tra l'Ogliastra, il Gerrei e la Trexenta. Nella grande mostra nazionale di Italia 1961 a Torino, ad esaltazione della civiltà italiana nel centenario dell'unità, in rappresentanza del meglio dei beni culturali della Sardegna, fu esposta anche la tavola di bronzo di Corti 'e Lucetta, un documento rilevante che getta luce sulle nostre vicende lontane.
tratto da "Mastino A. Atti del convegno 1993"
Nessun commento:
Posta un commento