martedì 31 gennaio 2012

Ugas rilancia e raddoppia: le sue risposte sulla resistenza degli Iliesi

Giovedì 26 Gennaio 2012 15:26

di Giovanni Ugas

Nel rispondere a coloro che sono intervenuti per commentare la mia nota sugli scavi di Sirilò di Orgosolo, debbo precisare che, nel portare la mia attenzione sulla questione, mi sono limitato a rimarcare il fatto che, stando alle fonti storiche, le aree montane interne della Sardegna restarono indipendenti sino al II secolo d.C.

E non ho affatto toccato il tema ben più ampio e complesso della costante resistenziale. Inoltre, non posso fare a meno di premettere, a scanso di equivoci, che né la mia persona né le mie ricerche sono condizionate da preconcetti di alcun genere, poiché non ho mai cercato di sedermi su uno scanno per guardare gli altri dall’alto verso il basso, ma neanche penso di tenere il capo chino; per dirla in breve la diplomazia non è il mio forte e sono per l’uguaglianza dei diritti e dei doveri e non per le gerarchie umane che portano alla fame, non solo culturale, e alla schiavitù di tanti esseri umani. Per di più preferisco ricercare e imparare più che insegnare, anche se talora è doveroso farlo e lo impongono le necessità della vita e il caso come affermava Jacques Monod. Ovviamente nel mio lavoro posso sbagliare, come del resto può errare chi ha voluto leggere la mia nota, ma non accetto giudizi pretestuosi da parte di nessuno.

Io ho l’abitudine di rispettare il prossimo e chiedo altrettanto rispetto e lo chiedo anche per i colleghi archeologi che con sacrifici e passione svolgono il proprio lavoro. Molti colleghi evitano di intervenire nei blog perché sono diventati teatri di contese assurde e inconcepibili per non dire altro. Per ricercare la verità e per diffondere i propri principi non c’è la necessità di offendere, basta rimarcare il proprio pensiero ed evidenziare i possibili errori altrui. Ho detto possibili perché, ovviamente, tutti possiamo avere la verità in testa e tutti possiamo sbagliare, indipendentemente dal nostro titolo di studio e dalla professione esercitata. Il tempo giudicherà chi ha ragione e chi ha torto. Mi auguro, dunque, che si arrivi a un confronto di idee civile, corretto e rispettoso, perché altrimenti è meglio starsene a casa propria, ad ascoltare un nastro registrato con la propria voce o con quella del proprio idolo. Detto ciò passiamo ad analizzare i commenti.

- Ribadisco il concetto che a mio avviso, stando ai dati della letteratura antica (intendendo anche tutto Diodoro Siculo!) e a quelli archeologici a disposizione, una parte della Sardegna, vale a dire l’area montana delle Barbagie abitata dagli Iliesi fin dal Neolitico e diventata terra di rifugio di altre genti iliesi provenienti dalle terre occupate dai Cartaginesi dopo il 510 a.C. , non solo era resistente, ma libera e indipendente sino al II secolo dopo Cristo.

Più tardi, a partire dal III secolo d. C. la condizione di indipendenza dell’area iliese-barbaricina non appare più in modo chiaro poiché mancano fonti dirette. Infatti, se da un lato nessuno storico afferma esplicitamente che tutta la Sardegna a partire dal III secolo d.C. era passata nelle mani di Roma, dall’altro non vi è neppure chi sostenga che la parte interna dell’isola era libera e indipendente. In effetti, esistono ragioni per pensare sia che lo status di indipendenza delle aree interne fosse perdurato almeno sino al VII secolo dopo Cristo, sia per negarlo. Sto parlando di indipendenza e non di resistenza ai Romani; questa è implicita in una situazione di indipendenza e di contesa tra popoli. Un’altra cosa è la questione della resistenza culturale e politica (e talora guerrigliera) e della costante resistenziale dopo la perdita della indipendenza, benché profondamente legata e di fatto derivante dalla precedente e che non riguarda solo, come giustamente alcuni hanno osservato, l’area barbaricina ma l’intera isola, benché le Barbagie e l’Ogliastra interna abbiano dimostrato una particolare forza e coesione resistenziale, latente o esplicitamente espressa, derivata da innegabili avvenimenti storici e da una propria identità culturale. Ovviamente, uno ha il diritto di non sentirsi indipendentista e di non far parte di una nazione che si oppone allo stato, ma sbaglia quando nega che altri possano nutrire sentimenti di libertà e di autodeterminazione. Basta il solo fatto che ci siano le persone che li dichiarino. Tuttavia, non intendo discutere della costante resistenziale nemmeno in questo mio intervento.

Come ho accennato nella mia nota, l’editto dell’imperatore M. Aurelio Antonino (Caracalla) del 212 che assegnava a tutti i sudditi, e dunque anche ai Sardi, la condizione di cittadini romani fu una mossa politica strategica per rendere più coeso l’impero e ho rilevato che da questa iniziativa imperiale poteva essere derivato un ammorbidimento del conflitto tra i Romani e le popolazioni dell’interno. Fatto sta che mentre dalla descrizione di Tolomeo della metà del II secolo d.C. non emerge la presenza di tappe stradali romane nella Barbagia, e i percorsi sono sostanzialmente costieri e tendono a congiungere i luoghi portuali, le piane campidanesi, e pochi altri siti interni, diversamente nell’Itinerarium Antonini, attribuito al tempo di Caracalla (212-217 d. C.), ma noto da età successiva, si evince l’esistenza di percorsi viari interni e in particolare, come è stato osservato in qualche commento alla mia nota (Elio), di un percorso stradale terrestre che congiungeva Caralis a Olbia passando per Biora (presso Serri), Sorabile e Caput Tirsi (Sorgenti del Tirso, Buddusò) e dunque attraversando la Trexenta, il Sarcidano e il Mandrolisai. Si tratta di un tracciato che ripercorre in parte l’attuale SS 128 che tocca Laconi e Sorgono e risale verso il ponte di Gusana e l’antico insediamento di Sorabile a Ovest di Fonni, restando sostanzialmente ai margini occidentali dei territori barbaricini centro meridionali e invece intersecando un tratto della Barbagia di Ollolai per risalire verso Bitti attraverso Gavoi, Orani e Oniferi o, cosa più improbabile, facendo tappa nell’agro di Lodine, Mamoiada e Nuoro.

La penetrazione romana in Barbagia, attestata da un buon numero di iscrizioni trovate nell’agro di Fonni non è ben definita nei suoi contorni geografici né ben determinata nei tempi. Soprattutto non sappiamo in che forma e in quali tempi si è diffusa una certa onomastica latina. Il Pittau ha richiamato giustamente una serie di nomi barbaricini che hanno un’origine latina, benché su alcuni importanti toponimi quali Fonni e Mamoiada forse occorra sospendere ancora il giudizio.

Occorre chiedersi se questi dati e altri relativi alle iscrizioni e ad alcuni miliari siano sufficienti per affermare senza dubbi che nel III secolo d. C, se non già prima, tutta la regione montuosa del Gennargentu e delle Barbagie fu soggiogata da Roma. Io penso di no, soprattutto tenendo presente ciò che avvenne due secoli dopo, in età vandalica e bizantina. È vero che un tracciato stradale è spesso condizionato dalla morfologia dei suoli e si può ipotizzare che il percorso romano da Cagliari a Olbia non avesse attraversato in pieno i territori barbaricini per evitare i rilievi piuttosto aspri che li contrassegnano, ma d’altra parte si può sostenere che la regione delle Barbagie rimase sostanzialmente indipendente e che fu attraversato solo in una sorta di enclave nella sua porzione nordoccidentale.

Per risolvere queste questioni occorrerà attendere nuovi dati archeologici, perché le notizie della letteratura, come detto, non consentono certezze. A questa ultima ipotesi, tuttavia conducono i dati della letteratura relativi alle azioni dell’imperatore di Bisanzio Maurizio Augusto vissuto tra il 582 e il 602, in particolare alcune lettere del pontefice Gregorio Magno scritte tra il 594 e il 601. Dalla corrispondenza e da altri elementi, come rilevato da vari studiosi e in particolare Mario Perra nella sua raccolta di fonti letterarie antiche, emerge che l’imperatore bizantino aveva ordinato a Zabarda, Dux, cioè comandante generale dell’esercito di Maurizo Augusto in Sardegna, di stanza a Fordongianus di condurre un’azione militare contro i Barbaricini, cioè i discendenti degli antichi iliesi. Nel 594 Gregorio Magno, informato degli esiti positivi dell’azione di Zabarda e sul fatto che è sul punto di stipulare un trattato di pace con i Barbaricini, invia la seguente lettera allo stesso Zabarda: “… Difatti mi hanno scritto che voi avete disposto di stipulare la pace con i Barbaricini, in modo da portarli poi al servizio di Cristo…”.

Quali siano le condizioni esatte del trattato di pace, che di per sé presuppone una indubbia autonomia dei Barbaricini, passata o ancora presente, noi non lo sappiamo, ma la pressione del papa è forte affinché si giunga a una pace a tutti i costi per consentire alla Chiesa di Roma un’azione di conversione al Cristianesimo dei Barbaricini, e forse promettendo di ottenere col verbo ciò che non potevano le armi. Per raggiungere il suo scopo, nello stesso anno 594, il papa Gregorio Magno si rivolge direttamente a Ospitone, riconosciuto come capo e condottiero delle popolazioni barbaricine: “Poiché della vostra gente nessuno è cristiano, questo so, tu sei la persona più autorevole di tutta la tua gente per il fatto che sei cristiano. Infatti, mentre tutti i Barbaricini,come animali insensati, ignorando il vero Dio e adorando (idoli di) legno e pietre,, tu, per il semplice fatto che adori il vero Dio, hai modo di dimostrare la tua superiorità su di loro. Pertanto … devi mostrare a Cristo la tua eccellenza perché possa condurre a lui tutti quelli che potrai, facendoli battezzare ed esortandoli ad amare la vita eterna…”. Come si evince da una lettera successiva (anno 599) di Papa Gregorio a Vitale, procuratore dei beni ecclesiastici, gli accordi porteranno anche all’acquisto da parte del notaio Bonifacio, inviato dal papa, di schiavi barbaricini da destinare “al servizio degli ospizi di povertà”. Un altro elemento per sostenere l’autonomia se non la piena indipendenza delle Barbagie in età bizantina può essere la lettera indirizzata nel 600 da Gregorio Magno a Spesindeo (12): “dato che, come si sente dire, non pochi barbari e provinciali della Sardegna si fanno avanti con gran devozione e col favore divino , per entrare nella fede Cristiana, La vostra magnificenza si adoperi come si conviene, col suo zelo in questa missione, e col fervore si aggiunga al nostro fratello e coepiscopo Vittore, allo scopo di convertirli e battezzarli”.

Chi sono questi “barbari” che abitano in Sardegna e sono distinti dai cittadini della provincia sarda di Bisanzio? Tutto porta a pensare che si tratti ancora dei Barbaricini e in tal caso si dovrebbe parlare di una loro indipendenza rispetto a Bisanzio ancora in piena età bizantina, nel secolo VII e oltre. In ogni caso i Barbaricini erano ben distinti dalla restante popolazione della provincia imperiale della Sardegna, come emerge con evidenza dai toponimi di “Brabaxinus” e simili tanto frequenti nelle restanti regioni dell’isola.

- Riguardo al rifugio degli Iolei/Iliesi delle aree di pianura (Iolaia pedia) nelle aree montane dell’interno a seguito degli scontri con i Cartaginesi, è un evento ben accertato. Piuttosto non è molto chiaro chi incontrarono sulle montagne questi Iliesi in fuga. Si potrebbe pensare ad altri Iliesi oppure anche, tenendo presente un passo di Strabone (V,2,7), ai Tirreni, una popolazione indigena che gli Iolei avrebbero incontrato nell’isola. Ovviamente chi fossero questi Tirreni di Sardegna è un bel problema, già affrontato in termini non risolutivi e che non può prescindere dall’esame delle possibili relazioni con gli Etruschi di tarda età storica. Per quanto attiene questo specifico contesto occorre procedere per ipotesi e non si hanno certezze. A giudicare da altre fonti si potrebbe pensare a Corsi stanziati fin dal Primo Neolitico sulle regioni montane e non cacciati all’arrivo degli Iliesi nel medio/tardo neolitico. Ma non è da escludere che si trattasse di Balari iberici, costruttori di torri, sopraggiunti nell’Eneolitico tardo e nel Bronzo Antico, che si incunearono tra gli Iliesi e i Corsi e si espansero anche nella Barbagia Settentrionale.

Quest’ultima ipotesi si scontra con il fatto che altre notizie delle fonti e alcune iscrizioni di confine latine indicano che gli Iliesi occupavano al tempo dei Romani il centro-sud dell’Isola sino al corso del Tirso, cioè sino alle campagne di Bortigali (Nurac Sessar), Orotelli (iscrizione dei Nurr[itani] ) e Buddusò (Caput Thyrsi). D’altro lato, i toponimi che Blasco Ferrer pone in parallelo con elementi del lessico e della toponimia basca indizierebbero una penetrazione almeno parziale dei Balari in zona iliese, nella Barbagia Settentrionale. A mio avviso si è in presenza di problemi aperti che meritano ulteriori riflessioni.

- La sopravvivenza di culti di tradizione nuragica accertati in nuraghi ristrutturati come templi nella Marmilla ancora in età punica e romana (pensiamo al culto della dea Luna a Su Mulinu di Villanovafranca persistito con un altare nuragico sino al II sec. d.C.) presuppone il fatto che allora una parte consistente della popolazione dell’isola era ancora indigena e che anzi nei centri rurali la popolazione prevalente, sia pure soggetta, era quella d’origine iliese (nel centro sud), balare e corsa (nel Nord), non già quella cartaginese o romana. Dunque nessuna contraddizione tra le analisi di Caterina Lilliu e le affermazioni di Giovanni Lilliu. Non tutti gli Iliesi delle piane si rifugiarono sui monti: una parte rimase, come è naturale che avvenisse, nei loro abitati originari. Ovviamente furono costretti a collaborare con i vincitori, ma ciò non significa che non avessero più contatti, benché non semplici, con quella parte della loro gente che si era rifugiata sui monti per combattere gli invasori, e che anch’essi nutrissero, benché meno espliciti, sentimenti di libertà.

- Per chi ha fatto delle osservazioni sul nome del sirulugum (o sirilugum) si veda Plinio il Vecchio XXX, 146.

Con ciò ho concluso e chiedo scusa se non affronto altre questioni che pure meritano attenzione.

sabato 21 gennaio 2012

La resistenza degli Iliesi: un evento storico che l’archeologia non smentisce

di Giovanni Ugas

La scoperta archeologica di Sirilò: un’interpretazione - L’amica e collega Maria Ausilia Fadda, autrice di tante e importanti indagini archeologiche, ha effettuato un’interessante scoperta nel sito di Sirilò in agro di Orgosolo a oltre 1000 metri di altezza. Si tratta di un abitato persistito dall’età del Bronzo sino ai tempi del dominio romano nell’isola. A giudizio dell’articolista dell’Unione Sarda Piera Serusi, che in data 18 Gennaio 2012 richiama le considerazioni della Fadda, l’interesse del ritrovamento consisterebbe nel fatto che il mito della Barbagia mai domata è infondato e lo proverebbero i manufatti archeologici. Alle stesse conclusioni indurrebbero le suppellettili emerse dagli scavi nell’antico villaggio di Sant’Efis di Orune. Nella sostanza, con parole forti e decise, nell’articolo si afferma “qui finisce la mistica dell’identità. Qui si sgretola il campionario folk della Barbagia isolata e mai conquistata… un mito infondato che è stato ampiamente strumentalizzato e enfatizzato”.Occorre attendere una pubblicazione esaustiva degli scavi per avere un quadro più dettagliato e un’analisi più precisa, soprattutto per quanto attiene le diverse sequenze e i contesti stratigrafici, tuttavia, a giudicare dalle notizie sugli elementi della cultura materiale venuti alla luce in tali siti è possibile trarre già alcune considerazioni che, dico subito e in modo non meno deciso, non sono affatto in linea con quanto sostenuto nell’articolo. Innanzitutto, va premesso che la resistenza dei Sardi ai Cartaginesi a partire dal 510 a.C. e ai Romani dopo il 238 a.C. non nasce dal parto di qualche inguaribile indipendentista moderno ma è ben registrata nella letteratura antica e ad essa, oltre che alla specificità della società “barbaricina”, si rifanno Giovanni Lilliu e tanti storici e antropologi sardi. Penso sia utile richiamare alcune delle numerose testimonianze che attestano come l’isola ancora alla fine del II secolo dopo Cristo non fosse affatto del tutto soggiogata, tralasciando le prime grandi battaglie per l’indipendenza combattute dai Sardi e i trionfi senza fine conseguiti dai consoli romani contro i Sardi per tutto il II sec. a. C., che determinarono, stando alle fonti, non meno di centomila caduti e prigionieri. Qualche testimonianza della letteratura antica sulla resistenza degli Iliesi -Diodoro Siculo (IV, 30) intorno al 60 a.C. Scrive: “In relazione a questa colonia (degli Iolei), avvenne anche un fatto straordinario e singolare: Attraverso un oracolo il Dio disse loro che tutti quelli che avevano preso parte a questa colonia e i loro discendenti, sarebbero rimasti continuamente liberi per l’eternità. La realizzazione di questo fatto in conformità all’oracolo, perdura fino ai nostri giorni”. Al tempo di Diodoro, dunque, una parte delle terre dell’isola era ancora libera. Infatti, Diodoro aggiunge: “Per effetto del lungo tempo ivi trascorso, poiché i barbari che avevano preso parte alla colonia erano superiori come numero, le popolazioni (gli Iolei) avevano finito per imbarbarirsi; esse, trasferitesi nella zona montuosa, si stabilirono nei terreni difficili ed erano solite nutrirsi di latte e carne e allevare molte greggi di bestiame e non avevano bisogno di grano. Si costruirono delle abitazioni sotterranee, svolgendo il loro modo di vita negli anfratti, evitarono il pericolo delle guerre. Perciò prima i Cartaginesi e poi i romani li combatterono spesso, ma fallirono il loro obiettivo”. Il concetto è riaffermato dallo stesso Diodoro Siculo V,15 : “I Tespiadi (i capi tribali Iolei), signori dell’isola per molte generazioni furono alla fine cacciati, si rifugiarono in Italia e si stabilirono (in particolare) nella zona di Cuma; la gente rimasta si imbarbarì ma, scelti come capi i migliori (àristoi), difese la sua libertà fino ai nostri giorni.” Occorre chiarire che Diodoro sosteneva erroneamente l’origine greca degli Iolei, mentre i Romani li chiamavano Iliensesfacendoli discendere da Ilio. In effetti essi vanno riconosciuti in una popolazione indigena, che possiamo definire convenzionalmente Iliesi, stanziata fin dal Neolitico nei territori a Sud del Tirso, a meridione dei Balari e dei Corsi, le altre due grandi popolazioni sarde che si opposero ai Cartaginesi e ai Romani. Tuttavia, lo storico greco della Sicilia che visse nel I sec. a.C. era certo ben informato sui fatti recenti dell’Isolane e, di certo, le lotte intestine per il potere sostenute nello stesso periodo, da circa l’80 al 40 a.C., tra i democratici e gli aristocratici romani dovettero rendere ancor più difficile il controllo delle zone montane e più impervie dell’isola. Il clima delle relazioni tra Roma e i Sardi, era tutt’altro che temperato, come emerge ancora dal giudizio espresso da Cicerone sui Sardi, compresi i filocartaginesi che abitavano le coste. Infatti, nel processo contro Scauro intentato dai Sardi intorno al 54 a. C., Cicerone sostiene sia pure accentuando strumentalmente la sua opinione sui Sardi: “Bisogna convincersi che la realtà dei fatti dimostra che la maggior parte di costoro (i Sardi) è priva di ogni rapporto di amicizia, di alleanza con il nostro popolo. Infatti quale altra provincia, fatta eccezione della Sardegna, non ha almeno una città alleata del popolo romano e libera (cioè con la cittadinanza romana)?”. Occorre riconoscere, invero, che Strabone, attivo tra la fine del I a.C. e gli inizi del I d.C. afferma che “… ( i figli di Iolao) abitarono insieme a Barbari che allora occupavano l’isola… ma poi il dominio passò ai Fenici provenienti da Cartagine , insieme ai quali combatterono contro i Romani. Poi, però, essendo stati costoro sconfitti, tutto passò sotto i Romani”. Va rilevato, al riguardo, che la notizia di Strabone è generica e non si sofferma su dettagli e infatti menziona allo stesso modo il dominio dei Cartaginesi che, ben si sa, non era di certo esteso alle zone interne. Infatti, lo stesso Strabone, in un altro passo, afferma che dalla Sardegna si facevano azioni di pirateria nella zona di Pisa in Toscana, asserendo indirettamente che qualche settore dell’isola, era tutt’altro che pacificato e sotto il controllo politico di Roma.

Che la situazione nell’isola non fosse affatto pacifica ancora nel I secolo d. C., lo afferma Cassio Dione il quale riferendosi agli eventi che si verificarono nel 6 d. C, sotto Augusto, afferma: “Infatti i briganti compivano tanto frequentemente delle scorrerie che per tre anni la Sardegna anziché avere per suo governo un senatore venne affidata a strateghi presi dall’ordine dei cavalieri (scelti dall’imperatore)”. Strabone (V,2,7) aggiunge che “gli strateghi che vi vengono inviati… talvolta rinunciano poiché non è certo vantaggioso mantenere di continuo l’esercito in luoghi insalubri…”. Ovviamente, era mascherata sistematicamente con l’insalubrità del clima l’insicurezza della Sardegna generata dallo stato di ribellione dei Sardi. Un situazione tutt’altro che pacifica è prospettata ancora, sia pure confusamente, oramai nel II secolo d. C. da Pausania ( X, 17,4): “...dunque ai miei giorni in Sardegna vi sono dei luoghi chiamati Iolaei”…. “I Troiani (cioè gli Iliei distinti erroneamente dagli Iolaei-Iliesi) si rifugiarono nei luoghi alti dell’Isola e, avendo occupato le montagne dal difficile accesso ben protette da opere difensive e da precipizi, ancora ai miei tempi conservano il nome di Iliei, per quanto somiglino ai Libii nell’aspetto, nell’armatura ed in ogni loro costume di vita”. Come si può osservare questi dati indicano, e si tratta di testimonianze dirette, che ancora nel II secolo dopo Cristo una parte dell’Isola delle montagne (Barbagie e Ogliastra) abitate dagli Iliesi non era affatto pacificata! Non sappiamo se l’editto di Caracalla del 212 d. C., col quale a tutti i sudditi dell’impero e dunque anche ai Sardi fu riconosciuto il diritto di Cittadinanza romana, riuscì a convincere i Barbaricini a desistere dalla loro lotta. Indubbiamente, va detto che Austis fu una fondazione romana, ma questo non basta per sostenere che le regioni montane del Gennargentu furono soggiogate dai Romani. Infatti, è evidente che, con lo stanziamento di propri coloni in zone nevralgiche, i Romani cercarono di frenare le incursioni e le ribellioni degli Iliesi, ma invano. La stessa cosa avvenne più a Sud con la fondazione della colonia dei Patulcenses Campani nel Gerrei per tenere a freno i Gallilenses sarcidanesi, ai limiti della Barbagia di Seulo. Inoltre, il fatto che Forum Traiani (poiCrysopolis, Fordongianus), il presidio militare dei Romani e poi dei Bizantini, fosse ubicato relativamente lontano dalle montagne del Gennargentu indica indirettamente l’esigenza di tenere ai margini il cuore dei Montes Insani, un territorio che occorreva controllare con prudenza e a una certa distanza ancora in età tardo imperiale e bizantina. In ogni caso, come affermano autorevolmente i linguisti, la lingua latina in Barbagia giunse tardi e attraverso un insegnamento dotto, “scolastico”, e non con una graduale propagazione dalle zone vicine. Non di meno arrivò tardi, solo dopo il VI secolo, il Cristianesimo, a seguito di un’intesa con i bizantini.

Le ragioni dell’archeologia non contrastano con i dati della letteratura - Queste sono le notizie, tutt’altro che mitiche, della letteratura antica. I dati archeologici di Sirilò e di Sant’Efis contrastano con esse? A giudicare dai dati finora noti non mi pare. I ritrovamenti di ceramica punica e greca attica evidenziano un fatto incontestabile: le regioni barbaricine non erano refrattarie alle sollecitazioni culturali provenienti dall’esterno, in primo luogo attraverso le altre contrade dell’isola. Tali manufatti, però, non implicano affatto che il Supramonte fosse stato occupato dai Cartaginesi così come la ceramica e gli altri elementi di cultura greca trovati nelle tombe orientalizzanti dell’Etruria non fanno della Toscana una terra militarmente occupata dai Greci nel VII secolo a.C. Lo stesso discorso vale per gli elementi culturali d’età romana.

Non ci si deve aspettare che in età romana l’interno dell’isola fosse rimasto fermo culturalmente all’età del Bronzo e del I Ferro! Resistenza non è sinonimo di isolamento anche se gli Iliesi continuavano a parlare una lingua “barbara per i Romani” e peraltro, praticando sistematicamente le razzie si impossessavano delle cose degli altri in terre che un tempo essi possedevano. È più che naturale che al tempo delle conquiste cartaginesi e romane nell’isola il quadro culturale fosse mutato e adattato ai nuovi tempi. Invero, non mi pare che esista al momento alcuna prova archeologica che nel I e II secolo d. C. la resistenza barbaricina degli Iliesi fosse stata domata e che politicamente il Supramonte fosse governato dai Romani. Non mi pare che siano stati trovati elementi probanti come ad esempio qualche iscrizione latina relativa alla fondazione di un municipium o di un tempio dedicato al culto imperiale. Né si possiede alcuna prova, per questo periodo, dell’introduzione della lingua latina nel cuore della Barbagia e certo nessun insediamento delle Barbagie porta un nome di origine romana. Sirilò (che ricorda lo zoonimo Sirilugum di Plinio il Vecchio) non è certo un vocabolo latino e Sant’Efis è un nome cristiano. In conclusione non emergono ragioni plausibili per sostenere che gli storici greci e romani non si fossero accorti che le resistenza sarda era una pura invenzione dei consoli e degli strateghi di Roma!

Fino a che mancheranno inoppugnabili sostegni probatori è più che lecito continuare ad affermare che fu un fatto storico, e non un mito, la resistenza dei Sardi nelle grotte (Tiscali ne è un esempio!) e nei luoghi fortificati (ancora da scoprire) ubicati sulle montagne nel cuore delle Barbagie.

mercoledì 11 gennaio 2012

Arrivederci Professore...



Si è spento oggi, mercoledì 11 Gennaio 2012, a causa di un male incurabile il Professor Roberto Coroneo.
Studioso di indiscussa fama, docente stimato dai colleghi come dagli alunni, lascia un indelebile impronta nel cuore di chi l'ha conosciuto, come nella ricerca nel campo della storia dell'arte medioevale.

La sua lunga bibliografia racconta molto più di quanto qualsiasi mio giudizio possa dire circa la sua competenza e la sua professionalità in materia.


CORONEO R., PER LA CONOSCENZA DELLA SCULTURA ALTOMEDIOEVALE E ROMANICA AD ORISTANO,
BIBLIOTECA FRANCESCANA SARDA, (II), 1988, 69, 107

CORONEO R., DUE SCULTURE MEDIOBIZANTINE IN SICILIA: GLI STIPITI DI CEFALù E IL PLUTEO DI AGRIGENTO, ANNALI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI,
(LIV), 1999, 296, 308

CORONEO R., RECENSIONE DELLA MONOGRAFIA "JOAN MATES. PINTOR DEL GòTIC INTERNACIONAL" DI ROSA ALCOY E M. MONTSERRAT MIRET (BARCELONA, AUSA, 1998), STUDI SARDI, (XXXII), 1999, 465, 474

CORONEO R., IL PECCATO E L'ETERNA LOTTA FRA IL BENE E IL MALE. UN PERCORSO ICONOGRAFICO NELLA SCULTURA ROMANICA DELLA CORSICA, ANNALI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI DI CAGLIARI, (LX), 2005, 109, 124

CORONEO R., PASSEGGIATE VIENNESI DI LETTERATURA E ARTE, PORTALES, (5), 2004, 151, 171

CORONEO R., SARDEGNA SACRA. ARCHITETTURA ROMANICA SARDA, FMR, (155), 2003, 25, 54

CORONEO R., UNA SCULTURA DELL'XI SECOLO DAL TERRITORIO DI NEAPOLIS, ARCHIVIO ORISTANESE,
(XLII), 2003, 133, 138

CORONEO R; PICCIAU F; MARTIS V, ARCHITETTURA ROMANICA IN SARDEGNA: NUOVE ACQUISIZIONI, ANNALI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DELL'UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI, (LVII), 2002, 347, 380

CORONEO R; PUDDU R, NUOVI FRAMMENTI SCULTOREI MEDIOBIZANTINI DAL CAGLIARITANO: USSANA, VILLASOR, MONASTIR, ASSEMINI, QUADERNI DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER LE PROVINCIE DI CAGLIARI E ORISTANO, (18), 2001, 151, 161

CORONEO R; PISTUDDI A, PER IL CATALOGO DELLA SCULTURA ARCHITETTONICA ROMANICA IN SARDEGNA: I CAPITELLI DI S. MARIA DI UTA, ARCHIVIO STORICO SARDO, (XLI), 2001, 355, 369

CORONEO R., RECENSIONE DELLA MONOGRAFIA "IL PERGAMO DI GUGLIELMO PER IL DUOMO DI PISA OGGI A CAGLIARI" DI ANNA ROSA CALDERONI MASETTI (PISA, OPERA DELLA PRIMAZIALE, 2000), BOLLETTINO D'ARTE, (109-110), 2000, 147, 159

CORONEO R., FRA IL PERGAMO DI GUGLIELMO E LA BOTTEGA DI JAUME CASCALLS: ARTE IN SARDEGNA NELLA PRIMA METÀ DEL XIV SECOLO, MEDIOEVO. SAGGI E RASSEGNE, (20), 1995, 389, 39

CORONEO R; SPANU GN, FRAMMENTI EPIGRAFICI DI CIBORIO ALTOMEDIOEVALE A SANT'ANTIOCO IN SARDEGNA, ESTUDIS CASTELLONENCS, (6), 1995 ,393, 394
CORONEO R., STUDI E RICERCHE SULLA SARDEGNA MEDIOBIZANTINA, SARDIGNA ANTIGA, (8), 1994, 14, 16

CORONEO R., SERRENTI (CA) - LASTRA MEDIOBIZANTINA CON CROCE GRECA POTENZIATA, QUADERNI DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER LE PROVINCIE DI CAGLIARI E ORISTANO, (9), 1992, 197, 203

CORONEO R., RECENSIONE DEL XXXVII CORSO DI CULTURA SULL'ARTE RAVENNATE E BIZANTINA: "L'ITALIA MERIDIONALE FRA GOTI E LONGOBARDI", ARTE MEDIEVALE, (V), 1991, 209, 210

CORONEO R., UN FRONTAL CATALÀ DEL SEGLE XIII A SARDENYA, LAMBARD, (V), 1991, 195, 246

CORONEO R., VILLASOR (CA) - LASTRA MEDIOBIZANTINA CON FIGURE ANIMALI IN DOPPIO REGISTRO, QUADERNI DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER LE PROVINCIE DI CAGLIARI E ORISTANO, (8), 1991, 239, 247

CORONEO R., FRAMMENTI SCULTOREI ALTOMEDIOEVALI NELLA CHIESA DI S. SEBASTIANO A USSANA, STUDI SARDI, (XXVIII), 1989, 379, 394

SERRA PB; SERRA R; CORONEO R, S. GIULIANO DI SELARGIUS (CAGLIARI), QUADERNI DELLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA PER LE PROVINCIE DI CAGLIARI E ORISTANO, (6), 1989, 236, 241

CORONEO, R., LA BASILICA DI SANT'ANTIOCO, ANNALI. ASSOCIAZIONE NOMENTANA DI STORIA E ARCHEOLOGIA, (10), 2008, 100, 102

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