lunedì 13 dicembre 2010

Turris, eterno cantiere con il mosaico di Orfeo sepolto sotto la sabbia


Le Pompei sarde. I siti archeologici dell'isola e i pericoli di degrado: il viaggio comincia dall'antica Porto Torres.Gli antichi decumani di Nora sono lastricati di buone intenzioni. Perché a parole tutti si preoccupano per lo stato in cui versa la "Pompei sarda". Intanto il tempio di Esculapio è ancora appoggiato nel vuoto. E il promontorio che si stende alla fine della Strada Trionfale continua a franare. Un po' più a ovest, il sindaco di Sant'Antioco Mario Corongiu è furibondo con il governo. "Senza i fondi per le opere di consolidamento - tuona - la necropoli non può essere visitata". Ma se Sulki piange, Tharros non ride. E così Porto Torres con i suoi tesori.
Nell'antica Turris Libisonis il ponte romano che scavalca il Rio Mannu sin dai tempi di Augusto e Tiberio ne ha visto davvero di tutti i colori. Lungo 135 metri e poggiato su sette arcate decrescenti, fu costruito per collegare il municipio di Karales con il porto dell'importante colonia del nord Sardegna, seguendo grosso modo il tracciato dell'odierna statale Carlo Felice. Nonostante lo scorrere dei millenni ha retto orgogliosamente all'indifferenza di chi sino a pochi anni fa, dopo aver cosparso di asfalto il basamento originale in trachite, lo utilizzava addirittura come passaggio per i mezzi pesanti diretti alla zona industriale di Fiume Santo.
Ora, grazie a un progetto del 2009 finanziato in parte con i fondi del Comune e in parte con soldi dell'Unione europea, sta lentamente tornando allo splendore voluto degli antichi architetti. Ma rarissimi cartelli stradali indicano dove si trova, quasi si volesse nascondere al mondo tanta rara bellezza. E se da un lato è completamente coperto alla vista dal moderno ponte Vespucci (già restaurato chissà quante volte), guardandolo da sud-est non si può fare a meno di inquadrarlo nell'inquietante skyline della centrale petrolchimica: un susseguirsi di cisterne e ciminiere che fa riflettere.
Il ponte romano, dunque, è stato un po' il simbolo dell'incuria di cui sono tuttora vittime i tesori archeologici della zona. Perché Porto Torres, conosciuta dai villeggianti soltanto come attracco per raggiungere le varie località turistiche sarde, è potenzialmente un polo d'attrazione culturale. Per convincersene basta dare un'occhiata a quello che potrebbe diventare un invidiabile parco archeologico. L'impressione, però, è che sia ancora tutto da fare. O quasi. Divisa in due frazioni (una di competenza demaniale e una di competenza locale) la parte cantieristica dell'impianto urbano emerso dagli scavi della vecchia Turris non è di fatto visitabile da sette anni.
Sporcizia, erba alta, mezzi meccanici abbandonati, capannoni e materiale edilizio colpiscono l'occhio almeno quanto le terme centrali conosciute come "il palazzo di Re Barbaro" o le strade che lo costeggiano, ai lati delle quali c'erano le tabernae, ossia i negozi e le botteghe artigiane. Finito? Macché. Sostanzialmente celato all'umanità resta anche il criptoportico. E ancora il frigidarium, con due vasche destinate ai bagni d'acqua fredda. Per non parlare di uno dei "pezzi" più pregiati di tutta l'area archeologica, lo straordinario mosaico di Orfeo, scoperto e quasi subito ricoperto di terra per totale mancanza di fondi.
"Tuttavia - spiega Antonietta Boninu, direttore archeologico della Sovrintendenza - un progetto già in corso prevede proprio la protezione fisica dei mosaici, mentre altri progetti sono in programma sempre per il restauro di mosaici e affreschi". Un deciso passo avanti. "Sono convinta che una buona sinergia tra Comune e Sovrintendenza possa sortire ottimi frutti", conclude l'esperta. Nell'attesa i quattro giovani operatori della cooperativa di servizi culturali "L'Ibis", impiegati nell'area archeologica attendono a braccia incrociate che qualcuno bussi all'ingresso. "In realtà - spiega Giancarlo Pinna, appassionato di archeologia e presidente dell'associazione "Turris Bisleonis" - le guide potrebbero accompagnare i turisti a vedere l'Antiquarium, un piccolo museo ricco di pezzi sorprendenti. Ma quando i curiosi scoprono che l'area archeologica è interdetta girano i tacchi e se ne vanno". Verissimo....continua su

http://lanuovasardegna.gelocal.it/dettaglio/turris-eterno-cantiere-con-il-mosaico-di-orfeo-sepolto-sotto-la-sabbia/2935538/2

venerdì 3 dicembre 2010

Il Feudalesimo Nuragico

Ma che bel castello!


Ultimamente ho notato che su "Leonardo" il Tg delle scienze, si sta parlando spesso e volentieri di Sardegna.
Ciò non può che farmi felice, sia che si parli dei pellicani "ospiti" a Molentargius, che di Nuraghi.
Infatti in quest'ultimo servizio (andato in onda pochi minuti fa) si è discusso sulle eccezionali capacità dei nuragici come architetti.
Tutto giusto ho pensato io. Si è discusso delle "solite teorie" ma almeno per mezzo minuto un pò d'Italia ha visto e sentito parlare di Nuraghes. Fosse sempre così! A cabonu mannu!*
Tuttavia, l'unica cosa che mi ha veramente colpito nel discorso è l'interpretazione della società nuragica che è stata data (oltre alla datazione proposta per la stessa; 1800 a.C. - 400 a.C. !).
Essendo i nuraghi dei castelli, essendo così capillarmente diffusi sul territorio...la società nuragica era essenzialmente feudale!
Tombola!
Questa bestemmia, sparata in modo così leggero, è invece un argomento di una complessità mostruosa, tutt'altro che facilmente risolvibile.
Dov'è il problema? Tutto è basato sulla funzione del nuraghe. Il nuraghe è un castello. I nuragici erano dei feudatari. Semplice!
Il gioco non funziona così. Spiacente.
Non sappiamo la funzione dei nuraghes, dunque qualsiasi ragionamento basato sulla finalità (ripeto ignota) di queste strutture, è decisamente azzardato.
L'interpretazione della società nuragica sulle strutture è ancora troppo arretrata per poter dare risposte anche lontanamente indicative.
Il nuraghe è un tempio, tutti i nuragici erano un popolo di lotofagi lobotomizzati.
Il nuraghe è un castello, la civiltà nuragica era una moltitudine di mini staterelli con migliaia e migliaia di bellicosi re che passavano il tempo ad ammazzarsi l'un l'altro (ma come facevano allora ad aver tempo per costruire nuraghes?).
Il nuraghè è un silos, i nuragici passavano il tempo a coltivare il grano o ad ammassare i propri beni dentro queste banche megalitiche. Tanti piccoli berluschini!
Il Nuraghe è un simbolo, i nuragici non avevano nulla da fare tutto il giorno ed ammazzavano la noia tirando su torri di migliaia di tonnellate.
E via dicendo!

Appare dunque ovvio che un interpretazione più vicina alla verità potrà ottenersi soltanto:
-scavando questi benedetti nuraghes (tanti però!)
-facendo in ogni scavo tutte le analisi del caso (esame palinologico, paleofaunistico, osteologico, stratigrafia, analisi al carbonio, spettrografia di massa...ecc!)
-stipendiando almeno un archeologo per comune, in modo da avere un censimento ufficiale, totale e definitivo di quante siano queste strutture!
-studiando i ritrovamenti, le strutture, accettando questa tanto decantata multidisciplinarietà (archeoastronomia, etnografia, archeometallurgia, et cetera!) e non andare avanti con il paraocchi e a testa bassa.

E via dicendo!

per ora le ipotesi proposte son panzane meditate a tavola, di fronte ad un buon procceddu arrosto.
Chiacchere al vento!

e questo è quanto...
Meditate gente, meditate!





*magari!