Cosa successe 3.200 anni fa sulle rive orientali del
Mediterraneo?
"In pochissimo tempo, l'intero mondo dell'Età del
Bronzo crollò", racconta Israel Finkelstein, archeologo dell'Università di
Tel Aviv. "L'impero ittita, l'Egitto dei faraoni, la civiltà micenea in
Grecia, il regno di Cipro, celebre per la produzione del rame, la grande
città-mercato di Ugarit, sulla costa siriana, le città-Stato cananite, sotto
l'egemonia egiziana: tutte queste civiltà scomparvero, e solo dopo qualche
tempo furono rimpiazzate dai regni territoriali dell'Età del Ferro, come quelli
di Israele e di Giuda".
Il mistero fa discutere gli scienziati da decenni. Si è
pensato a guerre, pestilenze, disastri naturali improvvisi. Ora Finkelstein e i
suoi colleghi ritengono di aver trovato una soluzione studiando particelle di
polline estratti dai sedimenti estratti sul fondo del lago di Tiberiade (o mar
di Galilea). A mettere in crisi quelle civiltà fu la siccità, anzi una serie di
gravi periodi di siccità succedutisi nell'arco di 150 anni, tra il 1250 e il
1100 a.C. circa.
L'équipe ha preso in esame campioni di sedimenti depositati
sul fondo del lago nel corso degli ultimi 9.000 anni, ed estratti grazie a
carotaggi fino a 18 metri di profondità.
Le "impronte digitali" delle piante
"Ci siamo concentrati sull'intervallo di tempo tra il
3200 a.C. e il 500 a.C.", spiega Dafna Langgut, palinologa (ossia studiosa
di antichi pollini) dell'Università di Tel Aviv e autrice, assieme a
Finkelstein e al geologo dell'Università Thomas Litt, dello studio, pubblicato
questa settimana sulla rivista Tel Aviv: Journal of the Institute of
Archaeology of Tel Aviv University.
Studiando campioni di polline prelevati da strati di
sedimenti depositati a intervalli di un quarantina d'anni, gli scienziati sono
riusciti a ricostruire i cambiamenti avvenuti nella vegetazione. "I
granelli di polline sono le 'impronte digitali' delle piante", dice
Langgut. "Sono utilissimi per ricostruire le condizioni della vegetazione
e del clima nell'antichità".
Intorno al 1250 a.C., gli scienziati hanno notato un netto
calo della presenza di querce, pini e carrubi, la tradizionale flora del
Mediterraneo durante l'Età del Bronzo, e un aumento delle piante che si trovano
di solito in regioni semiaride. Si notava anche una grossa diminuzione degli
ulivi, segno di una crisi dell'agricoltura. Tutto insomma faceva pensare che la
regione fosse afflitta da siccità gravi e prolungate.
Carestie e tumulti
Gli anni fondamentali per il crollo, prosegue Finkelstein,
furono probabilmente quelli tra il 1185 e il 1130 a.C., ma si trattò di un
processo che avvenne su un arco di tempo abbastanza lungo. "Secondo me il
cambiamento climatico può essere considerato una sorta di scintilla che diede
il via a una serie di eventi a catena. Ad esempio, il crollo dei raccolti
costrinse alcuni gruppi che abitavano nelle regioni settentrionali a migrare in
cerca di cibo, magari scacciando altre comunità che a loro volta si spostarono
per terra e per mare. Questa reazione a catena suscitò guerre e distruzioni e
mise in crisi il delicato sistema commerciale del Mediterraneo orientale.
Le conclusioni raggiunte dagli scienziati, anche grazie alla
datazione al radiocarbonio, coincidono quasi alla perfezione con i pochi
resoconti storici del periodo, che appunto narrano di carestie, interruzioni
delle rotte commerciali, tumulti, saccheggi e guerre per impadronirsi delle
scarse risorse. La tarda Età del Bronzo fu anche il periodo in cui bande di
predoni, detti "Popoli del mare" cominciarono a razziare le coste
della regione.
La crisi finì solo con il ritorno delle piogge, quando le
comunità costrette al nomadismo dalla fame poterono tornare stanziali.
Articolo originale su www.nationalgeographic.it